E poi e poi sport! Molto sport! Aerobica ragazzi!
Come avessi la forza di farne (e non per via della effettiva energia disponibile – quella proprio termodinamica intendo, che di quella ne hai – ma per l’entusiasmo atterrito).
Ora, quale che sia la formula magica adottata, e quale che sia la forza di volontà del torturato, questo modo, questa quotidianità di vita è insostenibile.
Perché è privazione. E deve finire.
E quando finisce, oh quando finisce: quella fetta di pane in cassetta con la Nutella e praline di zucchero croccanti fritte e panate: ecco, adesso sono permesse. Perché la dieta è finita, quindi è permesso tutto ciò che la dieta vietava.
Mi rendo conto che è obsoleto raccontare di questo adesso che anche la GDO sta iniziando a distribuire prodotti un tempo confinati nelle piccole botteghe di cibi biodinamici, ma fino a poco tempo fa l’idea di un’alimentazione QUOTIDIANA differente, in termini qualitativi delle materie prime, era tutt’altro che pop.
Veniamo all’epifania: mangiavamo SBAGLIATO.
Ce l’ha spiegato senza mezzi termini Filippo Ongaro. E poi Marco Bianchi e poi Veronesi, ciascuno nel suo modo, con le sue enfasi.
Noi ne abbiamo fatto una sintesi nostra, imperniata sulle nostre disponibilità di approvvigionamento, sulle stagionalità della nostra regione. E abbiamo perso ‘sto sacchetto di 20kg di peso in eccesso, recuperando felicità, consapevolezza e un sacco di abiti bellissimi che non ci calzavano più.
Tralasciando i miracolati dal metabolismo da colibrì che potrebbero mangiare corde di contrabbasso dorate e fritte, noi altri esseri umani, che ci barcameniamo tra l’ippopotamo e il bradipo con momenti felici da koala, mangiamo troppo.
E non tra natale e capodanno, ma tra capodanno e natale.
L’evento, il periodo episodico, non fa statistica. La quotidianità si.
Non siamo minatori o pallavolisti e una volta passati i 30 anni, non abbiamo più grandi dispendi di energia (e no, girare velocemente la rotella del mouse non è uno sport riconosciuto).
Se si riuscisse a fare il conto dello zucchero che ingurgitiamo in una normale giornata tipo, sarebbe ben evidente che si tratta di quantità enormemente sovrabbondanti.
Caffè zuccherato e brioche, poi un succodifruttino (zuccheratissimo), un tramezzino di panebianco e formaggio light (con edulcoranti a secchiate), un bel frutto maturo e poi al pomeriggio uno spuntino coacervo di zuccheri malcelati eventualmente di sintesi. Alla sera due fili di pasta bianca con un pizzico di pomodori (edulcorato per via della sua acidità): fame e ciccia olltugheder.
Poi abbiamo scoperto che le cose integrali in commercio non sono più quegli ammassi di segatura che la Misura vendeva negli anni 80: esistono millemila prodotti da forno, essiccati, freschi realizzati con farine integrali di ogni sorta: frumento, farro, mais. E che non esiste soltanto la pasta: c’è l’orzo, l’avena, il riso integrale (oh mmamma quante varietà di riso). Ed esistono le frutte secche: mandorle, noci, nocciole, pistacchi.
E le spezie! Profumi, colori: gioia.
Perciò, a partire dalla favolosa tradizione delle tigelle emiliane (preziosa eredità dei nostri amici fraterni della Mototigella) abbiamo rivisitato la ricetta: bandita la farina 00 (che in emilia si adopera per pressoché tutte le preparazioni, indifferentemente dolci o salate), abbiamo adoperato la nostra locale farina carosella, quindi la sua versione integrale e indi poi abbiamo osato deviare sul farro, integrale: che profumo ragazzi…
Fibre, basso contenuto glicemico e immenso sapore.
Da qui, il nostro annuale appuntamento invernale con la Compagnia della Tigella (composta dai vari membri della famiglia, oggetto di diaspora studentesco-lavorativa) ha preso una piega che ha seguito l’evolversi delle nostre consapevolezze e delle nostre vite.
Ciascuno a suo modo, attraversando esperienze e tempeste varie, come solo l’esistenza può mandarne, abbiamo imparato che il punto di tutto è avere cura di sé.
Reciprocamente.
Di prenderci cura di noi.
Fermi tutti: e la zafarana? E il rosso?
La zafarana è il nome dialettale lucano del peperone, che qui una volta raccolto, viene curato amorevolmente al sole fino a determinarne il completo essiccamento. Quindi ne vivono le declinazioni “cruscho” cioè fritto in olio bollente molto velocemente fino a farne una “patatina” – che nella tradizione accompagna piatti di baccalà – (eh si nell’entroterra, la tradizione importa soltanto pesce essiccato), e “psat'” cioè pestato fino a donarne al mondo una polvere rossa, profumatissima, saporita e decorativa.
RossoZafarana è il colore del nostro collante emotivo, della nostra eredità genetica che portiamo con noi in tutti i fantastici posti che ci ospitano e ci arricchiscono.
E ovunque siamo: abbiamo cura di noi.